Il dilemma del calcio dei nostri giorni: dalla Serie A all’ultima delle categorie
Uno dei dibattiti più longevi della storia del calcio italiano ruota intorno alla contrapposizione tra due stili di gioco considerati opposti e inconciliabili: in origine erano i “metodisti” contro i “sistemisti”, poi furono i “catenacciari” contro gli “esteti”, i “difensivisti” e gli “offensivisti” e infine i “risultatisti” contro i “giochisti”. Tutte etichette che, pur con sfumature diverse, distinguono da sempre le stesse due correnti: chi predilige uno stile di gioco più elementare, difensivo e quindi prudente e chi invece intende il calcio come un gioco offensivo, caratterizzato da una vivace circolazione di palla e un approccio difensivo che metta da subito pressione agli avversari, senza chiudersi nella propria metà campo.
Nella costruzione dal basso esiste tuttavia la possibilità che la palla sia persa nei pressi della propria area, col rischio di subire gol. Ma gli allenatori che la scelgono ritengono che i vantaggi in termini di gol potenziali siano superiori agli svantaggi legati alla possibilità di perdere palloni pericolosi
Verrà un giorno in cui le squadre si stuferanno di palleggiare a tutti i costi davanti alla propria area di rigore? I goal subiti a causa di autentici regali agli avversari da portieri e difensori palleggiatori ormai non si contano più. Sembra che “l’uscita palla al piede” sia diventata un contrassegno senza il quale il proprio gioco non vanti un marchio, sembra che i calciatori servano solo per dimostrare come sono bravi i loro allenatori. Tuttavia, l’adesione, ormai da parte di tutti, a questa idea del gioco come sviluppo costante di una manovra troppo spesso fine a se stessa dimostra un grande fraintendimento di fondo. Lo spettacolo del calcio e del gioco non possono essere subordinati a una cristallizzazione dei moduli e degli schemi. A volte, da una palla lunga possono nascere situazioni interessanti.
Il lancio lungo non è peccato, come non è peccato sventare un pericolo davanti alla propria area con un calcio al pallone, come non è peccato rinviare, come non è peccato sbrogliare la matassa senza fronzoli. Come si faceva quando il calcio italiano vantava il campionato più difficile del mondo.
Molti allenatori italiani si stanno uniformando a un ideologia dell’intendimento del gioco. Tutti vogliono fare la stessa cosa. Non si distingue più chi lotta per lo scudetto da chi lo fa per la salvezza. Ne scaturisce un decadimento che sta trasformando il calcio italiano in un monologo noioso e prevedibile. Un appiattimento che assorbe e deprime persino le migliori individualità. A volte, da un pallone sparacchiato alla bello e meglio può iniziare una rivoluzione
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