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Tra B Team, ripescaggi e regole mutevoli, la D può essere il calcio più autentico.
Da tifoso della Nocerina, ancor prima che da giornalista, considerando l’attuale piega del calcio italiano—piaga, oserei dire—non è così male restare in Serie D. Fermi, fermi, mi spiego meglio.
Partiamo dall’alto, dalla Serie A, che dovrebbe essere il prodotto di punta. Eppure la vedi vendere finali e supercoppe in luoghi lontani, condonare qua e là, chiudere entrambi gli occhi su illeciti “in nome della vendibilità”. È un male giocarla? Non per forza. Ma devi accettare un campionato “italiano” che porta gare in giro per il mondo, con un’autenticità spesso piegata alle logiche di mercato e di governo.
Passiamo alla Serie B: esente da scandali? Difficile sostenerlo. Tra retrocessioni ribaltate e club “resuscitati” per decreto, la credibilità traballa.
E arriviamo alla Serie C, il punto che mi spinge a scrivere. Le seconde squadre occupano slot di ripescaggio, anche quando retrocedono; disturbano percorsi costruiti con lavoro vero, budget veri e pubblico vero. Pensateci un attimo: quanta gente segue davvero una “Under 23” in casa? Poche centinaia, se va bene—e intanto gli incassi degli avversari soffrono. In più, la logica dei gironi sembra ignorare la geografia: società costrette a trasferte di 600 km per affrontare un B Team fuori contesto. E poi la partita infinita dei verdetti e delle iscrizioni, tra COVISOC e graduatorie: basta rivedere i casi recenti per capirlo (qui un riepilogo).
Allora, è davvero così un male fare la Serie D? Io dico di no, se la vivi per ciò che offre: la domenica genuina, lo stadio di quartiere, l’urlo dopo il gol, i cori fino a perdere la voce, la curva rossonera che si stringe attorno ai suoi colori. È l’esperienza più autentica possibile di questo gioco (e se ti piacciono gli impianti, dai un’occhiata alla nostra classifica capienze della D 2025/26).
Per noi rossoneri vuol dire ritrovarci al San Francesco con la stessa fame di sempre, guardare il calendario e segnare le date, discutere di maglie e numeri, riconoscere la nostra storia della Nocerina e sentire che apparteniamo a qualcosa che non è in vendita. Alla fine conta l’amore: quello non si compra—né coi petrodollari né coi condoni. E se vuoi dimostrarlo, abbonati: tutte le info sulla campagna abbonamenti.
FELICE VICIDOMINI
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